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COME CAMBIANO I CONSUMI ITALIANI

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COME CAMBIANO I CONSUMI ITALIANI

Nel rapporto Coop la centralità della “generazione disagio” dei giovani e dell’economia circolare
L’economia italiana nel corso dell’anno appena concluso è rimasta nel solco di «un percorso di ripresa iniziato nel 2014», anche se con «ritmi di crescita modesti», trainata soprattutto dai «consumi delle famiglie, mentre le altre componenti della domanda hanno deluso». Affacciandoci nel 2017, avverte il Rapporto Coop appena pubblicato, le cose potrebbero presto cambiare.
La prima avvisaglia arriva oggi dall’Istat. Per la prima volta dal 1959, l’Italia ha sperimentato un periodo di deflazione, con una variazione negativa (-0,1%) dei prezzi al consumo; lo stesso indice nel mese di dicembre, però, ha registrato «un aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e dello 0,5% nei confronti di dicembre 2015», trainato dai prezzi dei servizi relativi ai trasporti, degli energetici non regolamentati e degli alimentari non lavorati. Se i prezzi salgono, a parità di condizioni gli acquisti calano, tant’è che le prospettive per i saldi che inizieranno da domani in tutta Italia non sono affatto rosee. «Il nuovo anno – osservano dalla Coop – farà segnare un rallentamento del potere d’acquisto delle famiglie. Di conseguenza il ciclo dei consumi «dopo un biennio a ritmi superiori all’1%, subirà una battuta d’arresto», con una stima che si attesta a +0,7% (come il Pil), dovuto soprattutto alla ripresa dell’inflazione. Per quest’anno Coop prevede anche la crescita dei prezzi dell’1,1% dopo l’apnea del 2016, -0,1%».
Nel Paese è in atto però qualcosa di più delle oscillazioni quantitative negli acquisti. Secondo la dettagliata analisi offerta dall’ufficio studi Coop a mutare profondamente – e non da pochi mesi – è la qualità dei consumi italiani. Se verranno confermate le proiezioni contenute nel rapporto, al 2018 al 2018 (ovvero un decennio esatto dopo lo scoppio della crisi, prima finanziaria poi economica) la distanza da recuperare rispetto a livelli pre-crisi sarebbe inferiore al 2%, rispetto a una caduta cumulata dei consumi del 6,5% fra il 2008 e il 2013. A cambiare è il contenuto della spesa: Il riavvicinamento ai massimi pre-crisi non sarebbe evidentemente conseguito in maniera uniforme da tutti i comparti della spesa privata. Nel corso degli ultimi anni la struttura della spesa si è profondamente modificata: «Le differenze principali sono fra acquisti di beni e servizi», con i primi a segnare il passo. Nel 2018 risulterebbero infatti «su livelli inferiori a dieci anni prima la spesa alimentare (-7,6%), quella per l’abbigliamento (-4,1%), ma ancora di più l’arredamento (-11%) e i mezzi di trasporto (-19%). Fra i beni gli incrementi di maggiore rilievo caratterizzerebbero il mondo della comunicazione e soprattutto la domanda di prodotti dell’elettronica di consumo (che comprende i pc, +78% nel 2018 rispetto al 2008) e quella relativa ai telefoni (con una crescita del 240%) cui corrisponde simmetricamente un crollo degli acquisti di libri (-32%) e giornali (-42%). Le voci di spesa che avrebbero superato i livelli del 2008 sono prevalentemente collocati nell’ambito dei servizi: gli incrementi di maggiore significato sono nel comparto dei pubblici esercizi (+4,4%) e alberghieri (+10,1%) e nei servizi assicurativi (+10,4%)».
Quel passaggio dal consumo di oggetti a quello di esperienze, che è già stato avvertito nel Paese, si consoliderà sempre più nel breve termine. Questo di per sé non significa anche maggiore sostenibilità nel consumo: la digital economy come i voli low cost affondano le loro basi – come ogni attività umana – nel nella trasformazioni di risorse naturali, consumano energia e producono rifiuti. Consola però osservare come già oggi nel loro quotidiano gli italiani adottino «sempre più comportamenti e acquisti più attenti con l’ambiente e il territorio», con «l’attenzione alle risorse naturali, insieme al desiderio di vivere in un ambiente sano, sostenibile e a misura d’uomo» che hanno «assunto un ruolo prioritario nella gerarchia valoriale delle famiglie».
A guidare il cambiamento, secondo il rapporto Coop, sono i Millennials. I valori di questa generazione vengono assimilati a una «gerarchia dei bisogni più essenziale, scevra da condizionamenti, maggiormente votata al benessere individuale: la salute innanzitutto, quindi la felicità, il godimento del tempo libero, la libertà e solo in ultima posizione le possibilità di arricchimento mediante l’avanzamento di carriera. Centrale per gli under 35 è l’attenzione all’ambiente: un approccio più “green” che orienta i comportamenti e gli stili di vita».
Peccato che siano proprio i giovani – definiti non a caso “generazione disagio” – a rappresentare la generazione più svantaggiata e meno valorizzata durante questi anni di crisi. «Proprio loro, i giovani, che in ogni altra epoca hanno guidato le rivoluzioni e rappresentato il simbolo del futuro e del progresso, hanno finito per passare di moda, diventando una generazione per certi versi invisibile». Soprattutto attraverso la valorizzazione di questa e delle ancor più giovani generazioni passa – neanche a dirlo – la possibilità di futuro dell’intero Paese. «Le chances di ripresa – si osserva nel rapporto Coop – vanno ricercate negli sviluppi della tecnologia. Genetica, robotica, nanotecnologie, energie rinnovabili: sono questi i settori del futuro che presto rivoluzioneranno la manifattura. Cambierà il modo di produrre e il bisogno di professionalità elevate, ma saranno penalizzati i lavoratori con qualifiche intermedie», e dunque crescerà la necessità un’istruzione all’altezza, oltre a quella di efficienti misure di sostegno per quanti inevitabilmente rimarranno indietro nella corsa con le macchine.
Senza dimenticare un tassello cruciale, quello della sostenibilità ambientale oltre che sociale ed economica: «Per il nostro Paese la sfida dell’economia circolare appare quanto mai strategica, seppure condizionata ad un impegno di investimenti ingenti da parte dell’operatore pubblico come di quello privato. Il complesso processo di transizione verso un sistema socioeconomico più aperto e flessibile necessita forzatamente di politiche ad hoc e di capitali da destinare all’innovazione, all’eco-design ed alla prevenzione degli sprechi. Ne gioverebbe l’ambiente e ne gioverebbero ancora di più le comunità, con benefici per i cittadini non solo in termini di maggiore reddito e maggiore occupazione, ma anche di miglioramento della qualità della vita».

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